**Alert: Pippone lungo**.
Non siete obbligati a leggere, ricordate sempre questo diritto del lettore prima di smadonnare (Lo dice Pennac, eh. Mica pinco pallo).
Mi piacerebbe (auto)denunciare qualche figura di palta recente e non è che non ne faccia, con la mia propensione genetica al più totale sprezzo del ridicolo. Però, mi rendo conto, è roba fiacca in confronto alle prestazioni ruggenti degli anni verdi. Non c’è niente da fare, la gioventù ti dà una vitalità che non conoscerai mai più nella maturità. Anche nell’enormità delle figure magre. Perciò preferisco proporre roba d’annata, invecchiata bene. Nella mia carriera di chierichetto, per esempio, ho distillato una lunghissima teoria di epic fails, come si dice oggi. Iniziata più o meno a sei anni per noia (la vita in un paesello di 1600 anime tutte gonfie di vino di osteria e di reciproche maldicenze non era proprio una fonte di elevazione spirituale né di divertimento) e proseguita per bieco interesse (la caccia alle mance dispensate da coppie di sposi, padrini di battesimo e financo parenti affranti per il funerale dei loro cari, ma contese con il prete), si è dipanata attraverso tutte le elementari e le medie, passando per il catechismo e poi per la comunione e la cresima. Un curriculum immacolato. Almeno, lo sembrerebbe.
C’era una gerarchia tra i chierichetti e io l’ho scalata tutta. Man mano che si saliva di grado si potevano bullizzare i chierichietti più piccoli, fottergli le mance (quelle che non ci fotteva prima don Lorenzo, sempre pronto a intercettare i generosi dispensatori di pecunia prima che potessimo incrociarli noi), dargli ordini, assegnarli ai servizi più noiosi (tipo costringerli a inginocchiarsi proprio dietro al prete, che quando alzava il calice mollava certe scoregge loffie così cariche di gas che avrebbero potuto accendere i ceri ai piedi delle statue dei santi) e riportare in sagrestia i crocifissi quando si scioglievano le processioni, che non li voleva più nessuno dopo esserseli invece contesi per portarli a spasso per il paese durante lo svolgimento della suddetta processione. Una volta che non c’erano chierichetti giovani e a servire la processione eravamo in quattro, tutti tristissimi figuri già in pieno subbuglio ormonale, allo scioglimento del corteo scoppiò una rissa furibonda in cui, tra bestemmie e cazzotti, mulinando a guisa di clava un crocifisso montato in cima a una sottile asta di metallo lo diedi in testa a uno dei rivali e poi, vedendolo piangente mentre una folla di fedeli esterrefatti lo soccorreva, me la diedi a gambe con ancora addosso la tonaca e la cotta bordata di rosso delle grandi occasioni, portandomi dietro pure il crocifisso.