A 16 anni stavo rincasando a piedi alle 8 di sera dai classici allenamenti di pallavolo. Ad un certo punto noto un ragazzo molto carino che mi segue da qualche minuto.

La fame d’amore (o di qualunque cosa gli assomigli) tipica di quell’età, ma più che altro l’assenza di una capacità basica di lettura della realtà, tipica anche quella, mi fa completamente travisare la situazione, quindi io proseguo felice per la mia strada, con il mio presunto principe azzurro al seguito, mentre già vivevo nella mia mente scene romantiche di noi due che guardiamo un tramonto al mare.

Finalmente il ragazzo mi ferma e mi chiede: “Scusa?”, io mi volto con il mio sorriso migliore e con un’espressione che mi ero studiata per tutto il tragitto. Lui estrae una pistola e mi intima di dargli la catenina d’oro che avevo al collo, un braccialetto e altre cose.

Questo era il motivo per cui mi aveva seguito, il luccicchìo da cui era attratto non era quello dei miei occhi ma dei miei ori della prima comunione con cui ingenuamente andavo in giro.